mercoledì 4 luglio 2012

“I nostri veri alleati? il popolo dei referendum e delle primarie”


Monti barcolla, Bersani scalda i motori per un accordo strutturale con Casini, Berlusconi rimette fuori la testa. E a sinistra che succede? Il sito Linkiesta ne ha parlato con Nichi Vendola. 

Presidente, partiamo dall’Europa, in preda ad una crisi al contempo economica e politica: Lei che idea si è fatto al riguardo?
La crisi economico-finanziaria ha rivelato quella politica, ha messo cioè in evidenza la straordinaria debolezza di un’Europa, costruita, a partire dalla moneta, con istituzioni fragili e scarsamente capaci di dare corpo a quell’idea di unione europea che passa per la cessione di un pezzo di sovranità da parte degli stati membri. L’Europa ha fatto uno straordinario balzo in avanti all’indomani del crollo del Muro di Berlino e della storica riunificazione delle due Germanie. Subito dopo però, anche a causa della prevalenza, in quasi tutti i paesi continentali, di una sinistra sempre più marcatamente liberista – quella che in particolare si è riconosciuta nelle elaborazioni del new labour e nella terza via di Tony Blair – nel giro di pochi anni è stato consegnato alla destra non solo in governo ma anche l’egemonia culturale del vecchio continente.

Quindi buttiamo via il bimbo con l’acqua sporca?
No di certo. Il punto è però che l’Europa oggi è anche un sconfinato e confuso territorio popolato di nazionalisti, xenofobi, omofobi, razzisti, è un luogo in cui la premiata coppia Merkel-Sarkozy è stata in grado di produrre un formidabile regresso da un punto di vista culturale, civile e sociale. Quindi oggi l’Europa non è da buttare, ma è a rischio, rischia cioè di schiantarsi, di avvitarsi sulle proprie contraddizioni…e la cosa più tragicomica sa qual’è: immaginare che queste classi dirigenti per salvare l’euro distruggano l’Europa!
Beh adesso c’è Monti che in asse con Hollande pare intenzionato a correggere il tiro della politica austera di Angela Merkel
Io credo invece che Monti sia una variante delle classi dirigenti europee, ossia di quelli che hanno messo in discussione i fondamenti della civiltà europea, che hanno pensato di smaltire, come si trattasse di un residuo del passato, quel sistema di welfare che lo stesso premier Monti definisce il prodotto del buonismo sociale. Faccio fatica ad immaginare Monti estraneo a quel club dell’austerity, che suscita le sacrosante ire di svariati premi Nobel all’economia e che con i tagli ai redditi dei ceti medi ed ai ceti popolari sta spingendo sempre più l’Europa nei burroni della recessione.

Insisto: Monti dice però di lavorare in Europa, così come in Italia, per la crescita
Non è molto chiaro cosa significhi crescita. Sembra un abracadabra per aprire le porte della salvezza. In verità, da un lato la nozione di crescita è terribilmente ambigua, perchè oggi la crisi ambientale è uno degli ingredienti strutturali della crisi mondiale e la fatica con cui questo Governo usa la parola sostenibile accanto alla parola crescita è molto indicativa di quali siano le propensioni culturali di questa classe dirigente. Ma poi l’evocazione della crescita è un fatto puramente nominalistico…qualcuno mi indichi un solo provvedimento a favore della crescita, un luogo dove è stata rimessa in campo, anche in forme embrionali, una politica industriale o dove si ragiona sul fatto che per crescere questo Paese ha bisogno, ad esempio, di un’opera strategica, come quella della messa in sicurezza e della manutenzione dei suoi territori urbani ed extraurbani. Io ho sempre l’impressione di trovarmi di fronte ad una antica formula cinematografica: chiacchiere e distintivo!

Come se ne esce, dunque?
C’è bisogno di una lettura meno generica della crisi, della sua natura, delle sue cause e c’è bisogno di mettere in campo un discorso chiaro e forte che indichi una direzione che possa consentire all’Italia di uscire contemporaneamente dalla crisi economica e dal tramonto del berlusconismo. Lo dico con sincerità: è un po’ difficile essere, come capita al Partito Democratico, con due piedi in una scarpa, cioè essere coloro che evocano nell’agenda dell’alternativa il rilancio dei diritti e della civiltà del lavoro, mentre contemporaneamente stanno votando quella cosa inqualificabile che la deformazione del vocabolario consente di chiamare riforma del mercato del lavoro, inclusiva dello sfregio all’architrave della civiltà del lavoro, come è l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

La riforma è quindi una “boiata”, come l’ha definita il nuovo Presidente di Confindustria, pur da angolature diverse?
Qualcosa di più. Quella modifica al mercato del lavoro è un danno al Paese ed è un’ulteriore barriera che si erge rispetto allo sforzo di uscita dalla crisi. Perchè significherà un ulteriore impoverimento sociale del lavoro, ignorando che la crisi è proprio figlia di una svalutazione sociale del lavoro. Come scrive Fassina nel suo libro – ed ha perfettamente ragione – la crisi è figlia del fatto che il lavoro è stato rapinato, che si sono trasferite dalle tasche del lavoro e da quelle dell’impresa, risorse preziose che sono andate in direzione della rendita e della finanziarizzazione dell’economia. Allora non si può risolvere la crisi se non si restituisce valore sociale al lavoro!

E concretamente ciò cosa significa?
Significa diritti, tutele, contratto collettivo. Noi invece siamo passati dalla lotta per l’eguaglianza dei diritti alla lotta per l’eguaglianza della perdita di diritti. Attraverso i filosofemi un po’ spocchiosi della Fornero ci siamo ritrovati di fronte ad una considerazione che dice: se la maggior parte dei giovani è precaria, bisogna rendere precari anche la maggior parte degli adulti. Quindi piuttosto che perseguire l’eguaglianza nel miglioramento, nell’emancipazione, nel conseguimento dei diritti, si persegue l’eguaglianza nella perdita di diritti: questo è un paradosso per uno di sinistra e dovrebbe essere tale anche per un liberale!

Anche Lei ce l’ha con il ministro Fornero.
La Fornero cavalca il tema, caro anche a certa sinistra, della flessibilità e si comporta come se fosse la campionessa dell’ippodromo; poi, pensando al problema degli esodati, di cui non si conosce ancora il numero, si rafforza in me la convinzione che siamo di fronte ad un discreto grado di sciatteria tecnica.

Ma siamo proprio certi che questo Governo abbia un profilo solo tecnico, Presidente?
In effetti la sciatteria è figlia di un inganno: dare alla tecnica il compito di fare cose squisitamente politiche. Perchè smantellare una rete di diritti è una scelta politica, per giunta di destra, lasciando credere che si tratti di una cosa oggettiva. Quindi la tecnica è l’occultamento della natura politica delle scelte che si compiono. Quando si è così rapidi e duri nel prelevare reddito dai ceti popolari e si è così incerti, perplessi, ondivaghi nel fare la medesima operazione nei confronti dei ceti possidenti, si sottintende una psicologia politica molto orientata.

Se la narrazione deve cambiare, da dove partiamo, Presidente?
Seguendo la via indicata da un popolo più largo del centrosinistra, quello dei referendum dello scorso anno, innanzitutto. Scoprendo, ad esempio, che sviluppo e welfare possono essere coniugati, come abbiamo fatto negli scorsi giorni in Puglia, mettendo in campo un corposo piano di investimenti sulle infrastrutture idriche dell’Acquedotto Pugliese (120 milioni di euro, ndr), ma al contempo abbattendo per 370 mila famiglie le tariffe. Questa, credo, sia la via non solo possibile, ma vincente. È la via, lo ripeto, tracciata dal popolo referendario, come alternativa al berlusconismo, non come una generica etica giustizialista, ma in difesa dei beni comuni.

E poi?
E poi dando voce ai cittadini delle primarie. Quelle primarie, che, anche recentemente, nella sinistra hanno scompaginato i soliti giochini di chi ritiene di essere proprietario delle scelte fondamentali e che hanno fatto sentire i nostri elettori trascinati da un’idea della politica che è stata un esercizio di sovranità… sono i cittadini delle primarie ed il popolo dei referendum ad averci indicato quali sono i veri alleati del centrosinistra!

Tradotto: altro che svolte centriste e moderate, che anche lo stesso Bersani pare accarezzare…
Registro che il centrosinistra aveva – e continua ad avere, come dimostra la possibile intesa tra Bersani e Casini – lo sguardo sui fantomatici e fantasmatici moderati e non si accorgeva che milioni di persone, moderatissime nei loro comportamenti quotidiani, avevano chiesto di non mettere all’incanto, di non privatizzare beni essenziali. Quello è il centrosinistra, per me. Se non è quello a me non interessa, perchè allora non si capisce quale sia l’alternativa alla destra ed al berlusconismo. Io non voglio vivere in un Paese in cui, a fronte della crisi finanziaria , è normale azzerare il fondo per la non autosufficienza, azzerare le risorse ai comuni che servono per tessere le reti della protezione sociale, tagliare welfare, tagliare diritti, mentre appare un tabù tagliare gli F35, le spese militari; un paese in cui è facilissimo immaginare l’aumento dell’Imu, dell’Iva ed in generale della tassazione ma è sempre tecnicamente complicato anche solo pensare ad una patrimoniale straordinaria, ad una patrimoniale ordinaria ed alla tassazione delle rendite finanziarie.

Per cambiare il Paese, deve aspirare a guidarlo, Presidente. Il centrosinistra sta scaldando i motori per scegliere il candidato alla premiership: Lei che fa?
A me pare che ci sia qualcuno che sta scaldando i motori, ma non so se sia il centrosinistra a scaldare i motori, perchè il punto è che io non so se esiste il centrosinistra. Questo è il tema per me fondamentale. Vedo Bersani che sta scaldando i motori soprattutto con l’apparato del suo partito, Renzi sta facendo lo stesso in particolare con un pezzo di istituzioni e con un un pezzo di borghesia capitalista. Ma non vedo il centrosinistra in campo.

E quando lo vedremo il centrosinistra in campo?
Quando verrà definito quale è il suo minimo comune denominatore. Perchè noi possiamo avere differenze importanti su tante questioni e nelle primarie ci si gioca su questo una partita. Però un conto è se uno dice unioni civili e l’altro matrimoni gay, ma diventa difficile pensare di competere con chi propone i cimiteri per i feti. Ci sono delle questioni preliminari che vanno affrontare e sta al Pd, che è il partito più grande, dare qualche risposta. E fino ad ora le risposte, che consentono di capire quale è il percorso e quali sono gli alleati, sono sfuggenti e contraddittorie.

Non è che Lei sta prefigurando una situazione in cui il minimo comune denominatore non si troverà e quindi, Sel, pezzi di Fiom e movimentismo faranno una autonoma corsa alla sinistra del Pd?
Guardi, io voglio dire che nulla è scontato. Le cose bisogna costruirle e quando parliamo di centrosinistra evochiamo soggetti che oggi non esistono. Il centrosinistra è quell’alleanza politico elettorale che si è presentata alle ultime elezioni amministrative? O ha una diversa configurazione? Di che coalizione stiamo parlando? Parliamo di una coalizione che ha il segno culturale del governo Monti? O parliamo di una coalizione che ha il segno culturale di un’alternativa radicale al liberismo?

Vista come è andata in passato, credo che da una discussione di questo tenore non ne uscirete vivi
Però, vede, si tratta di domande importanti. Io sono ammirato da alcune elaborazioni che leggo su L’Unità e che provengono dal Pd, dove ci sono menti autorevoli e raffinatissime, che indicano la plutocrazia come il soggetto promotore di crisi; il problema è che le conseguenze politiche che si traggono in Parlamento vanno veramente da un’altra parte. Insomma, io non vorrei sottoscrivere un programma in cui c’è una parte filosofica tutta da condividere ed una parte politica che è cicuta da bere.

fonte: Linkiesta

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