venerdì 27 gennaio 2012

Ricordare per opporsi alla banalità del male

Il 27 gennaio ricorre l’anniversario della giornata della memoria. Infatti, il 27 gennaio del 1945 le armate rosse sovietiche varcarono le soglie dei  cancelli dei campi di concentramento polacchi, scoprendo l’eccidio  degli ebrei e rivelando al mondo intero il più grande disastro sociale. Il numero degli ebrei e non solo il loro, e’ stato  spaventoso. Si parla di circa sei milioni di morti. Si è trattato, come dicono gli storici, del più grande e crudele assassinio di Massa.

Quell’evento e quella serie di eventi, simbolicamente  racchiusi in una data significativa per ricordare lo sterminio degli  ebrei permette, che il ricordo dell’olocausto non sia affidato solo o prevalentemente al ricordo individuale e collettivo, ma diventa patrimonio della coscienza pubblica attraverso tutte le sue forme.
In realtà la persecuzioni degli ebrei ha radici lontane nel tempo, ma è soprattutto dal 1933 che assume quel carattere a noi noto, quando fu varata una legge che decretava la sterilizzazione coatta di ogni individuo “inadatto alla propagazione”. La categoria degli inadatti si sarebbe estesa negli anni successivi a comprendere criminali e comunisti, omosessuali, zingari, diversamente abili e naturalmente ebrei. Una legge del 1936 vietava il matrimonio e ogni rapporto sessuale tra tedeschi ed ebrei. Dal 1939 l’eutanasia di chi non meritava di vivere fu vista come una soluzione preferibile alla sterilizzazione (perché spendere per nutrire pazzi e carcerati, degenerati ed ebrei)?. Si avviò la costruzione delle camere a gas e dei forni crematori.

Le torture che tutti gli inadatti dovettero subire sono innumerevoli. Oggi, in molti Paesi del mondo avviene una sistematica violazione dei diritti umani, tra cui la pratica della tortura. Le carte dei diritti e le legislazioni internazionali unanimemente le condannano. Se è però vero che la tortura è vietata, certamente non è impedita e in molti, troppi casi è ancora praticata.

Investire sulla memoria come strumento di conoscenza per non dimenticare e svelare quei processi che condussero e rischiano di condurre a un nuovo totale oblio della ragione.

La memoria costituisce l’unico appello che il sopravvissuto Primo Levi rivolge all’umanità: il dovere di non dimenticare ciò che è stato. La sua lucida testimonianza non si prefigge di formulare capi d’accusa né di aggiungere altri elementi a ciò che è ormai noto, ma di indagare in modo pacato alcuni aspetti dell’animo umano. Il timore di non essere creduti, la vergogna di rendere note le umiliazioni subite ha per lungo tempo tenuto in catene vittime e testimoni. Il dovere morale che l’esperienza dei Lager impone è quello di spezzare la forza che la tirannide continua ad esercitare anche molto tempo dopo che quelle prigioni sono state smantellate.

Da questo tragico evento dovremmo saper cogliere elementi di positività per migliorare il nostro presente. Così per tornare ai giorni nostri e alle ferite che si riaprono in nuove e drammatiche rappresentazioni sociali di odio xenofobo, è necessario comprendere quanto la relativizzazione spinta delle differenze porti ad esiti paradossali di indifferenza per le differenze altrui, sostitutiva della salvaguardia del proprio gusto e spazio di scelta. Ogni appartenenza diventa così leggera, negoziabile, transeunte, poco significante. Ciò porta a non identificare il problema della costruzione di legami fra le differenze, di un ordine sociale che eviti il conflitto, della necessità di una terzarietà insita in ogni relazione, della questione di un noi inclusivo che contenga al suo interno le differenze culturali e le renda possibili.

A livello politico - sociale si tratta di elaborare modelli capaci di estendersi in forma via via planetaria e incentrarsi su diritti comuni e universalmente riconosciuti, su strategie comuni di reciproca accoglienza, come pure su principi e norme relative a una neo-cittadinanza costruita sulla condivisione delle differenze. Così l’identità e la differenza entrano nel gioco dialettico, che viene a ridefinire e a integrarle, dando luogo a un nuovo scenario, epocale e mondiale, che è invotis e che è anche già in atto.

Giorgio Crescenza

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