Le
recenti dichiarazioni di Romiti basterebbero da sole a definire grottesca e
paradossale la situazione vissuta per due anni nel nostro Paese con riferimento
al “piano fabbrica Italia” annunciato da Marchionne e avallato supinamente da
una parte del sindacato, esclusa la Fiom, e dalla maggior parte della classe
dirigente nazionale, incluso il governo dei cosiddetti “tecnici”.
L’investimento di 20 miliardi prospettato dall’ad Fiat si è volatilizzato e con
esso tutte le bugie e le fantasie circa una azienda che non aveva bisogno dei
finanziamenti pubblici e che era in grado di competere da sola sullo scenario
internazionale. Bugie che, tuttavia, non sono rimaste innocue ma hanno prodotto
disastri sul piano sociale, lavorativo e sindacale: proprio questo annuncio del
fantomatico “piano fabbrica Italia” ha
infatti determinato la genuflessione delle istituzioni, a tutti i livelli, e la
conseguente produzione di norme (Legge Sacconi e riforma Fornero) che hanno
contribuito a rideterminare una ristrutturazione complessiva del settore auto
in Italia con una sostanziale cancellazione della rappresentanza sindacale e il
peggioramento complessivo delle condizioni economiche e normative del lavoro.
Una
riverenza che ha fatto sì che la maggior parte delle forze politiche avallasse
il ricatto, presentato sotto forma di referendum, di Pomigliano prima e di
Mirafiori poi, dove i lavoratori sono stati messi di fronte alla scelta tra la
promessa del lavoro e i diritti. Ora anche quella promessa è venuta meno e le
scelte tardive del Governo Monti di convocare Marchionne a “frittata già fatta”
suonano ancor più goffe se solo si pensa come qualche mese fa il Presidente del
Consiglio dicesse che Fiat, in quanto azienda privata, avesse il diritto di
scegliere cosa produrre e dove produrre, anche fuori dall’Italia.
In
Basilicata la Fiat è rimasta estranea rispetto alla discussione programmatica
del governo regionale che ha praticamente dichiarato la sua impotenza. Tutta la
vicenda Fiat, che a Melfi ha non solo prodotto l’esclusione dell’unico
sindacato che aveva chiesto di contrattare le scelte del piano rifiutandosi di
sottoscrivere un regolamento dettato da Marchionne, ma ha prodotto anche
l’ingiusto licenziamento di tre lavoratori iscritti a quello stesso sindacato e
la loro mancata riassunzione, nella nostra Regione, fatte salve solo poche
sporadiche eccezioni, ha fatto registrare solo partigiani del marchionnismo,
nel migliore dei casi o l’indifferenza più totale, nel caso peggiore.
Non
vogliamo correre il rischio oggi di apparire come i primi della classe, avendo
in passato sostenuto ragioni che oggi si rivelano corrette, né tanto meno
aprire una polemica inutile e per certi versi anche dannosa, che può avere
tutta il gusto della propaganda politica, che non ci appassiona su questi temi.
Ci rendiamo conto dell’importanza, in questa fase così delicata, di trovare una
convergenza tra tutte le parti politiche in gioco e auspichiamo che il
dibattito su questi temi, non marcisca nelle agende politiche e istituzionali.
Il Coordinatore Circolo Sel Melfi “Peppino Impastato”
Carmine FUNDONE
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