mercoledì 19 settembre 2012

Vendola: «vorrei un figlio ed una nuova sinistra»


«Se ora potessi fare quello che voglio, farei un figlio». Sarei un buon padre. «Farei il padre forse meglio di come ho fatto il politico», dice Nichi Vendola durante un lungo forum con la redazione di Pubblico. E spiega che cosa trova di bello nel rapporto con i bambini. «Ho cresciuto i miei nipoti. Ho giocato per anni con i figli dei miei amici. Mi piace la cessione di sovranità dagli adulti ai bambini, che avviene quando il rapporto è corretto, quando il genitore non adultera il bambino ma sa ascoltarlo» e poi «giocare significa mettersi in gioco, e quando capisci che nel gioco è il bambino che può educare te, è bellissimo». Poi esce dal privato e parla da politico: «Sì, credo che dobbiamo batterci per riconoscere il diritto delle coppie gay sia ai matrimoni che alle adozioni. La società italiana è matura per i matrimoni e per le adozioni omosessuali».
In un’intervista senza filtri con la redazione di Pubblico, Vendola si sbottona, parla di sé, ma soprattutto delle alleanze, del patto con Bersani, di Renzi, di Marchionne e della foto di Vasto. Ma andiamo con ordine.

Arriverà, prima o poi, un patto delle primarie. Firmato quello, i giochi sono fatti. Prima di impegnarsi a sostenere chi vince, pretenderà che sia inserita la revisione delle riforme Fornero?
La frase che state dicendo è più un gioco di società che non una lotta politica. Io non sono abituato a costruire con le interdizioni. Nel momento i cui partiranno le raccolte di firme per i referendum, scenderà in campo un altro protagonista. Finché la contesa sarà tutta dentro il palazzo, tra me, Bersani e Renzi, non c’è trippa per gatti:i miei temi non possono vincere altrimenti. Quanti anni ho litigato con i miei amici – diciamo così – “riformisti” sul tema dell’acqua pubblica? Mi sono giocato la campagna elettorale in Puglia, sull’acquedotto pugliese, contro l’idea della privatizzazione, ma non avrei mai fatto passi avanti chiedendo semplicemente una resa.

Quindi il piano è: Vendola si candida alle primarie con questa battaglia e se vince sposta il baricentro della coalizione. Ma se perde?
Ho preso due settimane di tempo per sciogliere la questione. Farò un discorso a fine mese.

Non sono troppo grosse le divergenze politiche anche con Di Pietro, come sostengono in molti nel Pd? Non è troppo estremista?
A me pare che Di Pietro nella sua esperienze di Governo – che poi era anche la nostra – abbia, al contrario, dimostrato fin troppo moderatismo. La distanza con Di Pietro si è accorciata non si è allungata.

Pare elastica: un giorno inseparabili, l’altro divorziati..
Era grande, la distanza, quando si dimostrava tiepido sui fatti di Genova, e quando continua ad essere ambiguo ogni volta che se ne torna a parlare. Tuttavia la distanza si è accorciata perché l’Idv ad un certo punto ha fatto un’inversione a U sui temi sociali e del lavoro. Da quel momento in poi per me ci sono tante distanze con tanti interlocutori: con l’Udc sono incolmabili, con l’Idv no.

Niente intesa con l’Udc, quindi.
Maledetti i paradossi con cui ho comunicato per quasi tutta la mia vita. Io a domanda risposi dicendo che se Casini è disponibile a partecipare al processo necessario di modernizzazione del Paese, che prevede di fare i conti con quel clericalismo che umilia la politica e anche la Chiesa, se è pronto ad impegnarsi per restituire all’Italia il carisma della laicità, allora Casini è benvenuto. Il paradosso mi pareva evidente

E le differenze con il Pd?
Ci sono tante cose che mi dividono da Di Pietro e ci sono tante cose che mi dividono dal Pd. Il Partito Democratico ha votato provvedimenti normativi da brivido, ma noi che dobbiamo fare? O uno si presenta al mondo dicendo “votate la mia splendida solitudine” oppure uno prova ad immaginare, guardando con attenzione gli attuali rapporti di forza, qual è il migliore protagonista potenziale per un avanzamento dell’Italia, sapendo che è un avanzamento che parla all’Europa. Così come parla all’Europa il fatto che Hollande in Francia riesca a fare la prima riforma previdenziale in controtendenza, che restituisce alla parola riforma il suo reale significato.

Che è diverso da quello che hanno quelle del Governo Monti votate dal Pd?
Nel Pd, come in tutti i partiti della sinistra moderata in Europa, c’è un conflitto interno molto forte. Il dubbio è se uscire dalla prigionia politica del liberismo oppure permanere “renzianamente” in quel recinto: fare da giovani la cosa più vecchia che si possa fare.

Però avete fatto un patto per i gruppi comuni…
I partiti di oggi sono tutti inadeguati, l’obiettivo di smontarli andando verso il soggetto del futuro è una discussione che c’è in tutta Europa.

Insomma, il patto c’è o no?
No. La possibilità di unificare i gruppi parlamentari è legata soltanto alla possibilità di rappresentare l’innesco di un processo costituente, ma in questo momento i nodi da sciogliere sono tantissimi e parliamo di un lontanissimo futuro.

Non c’è il patto?
Non c’è nessun patto. Il mio abbraccio con il Pd è un abbraccio stringente che può però finire se le cose vanno in un’altra maniera: la resa incondizionata a Monti e al Montismo. Non possiamo far finta di stare sull’Isola dei Famosi. Siamo in Italia, in un posto in cui i poteri reali, quelli che hanno sostenuto Berlusconi, ora stanno dicendo “Monti da qui all’eternità oppure, in subordine, Renzi”.

Ecco, Renzi. E se vince lui?
Mi piacerebbe capire intanto che cosa sono le primarie oggi, e non solo per il protagonismo di Renzi, nei cui discorsi riecheggiano scampoli di Berlusconismo. Stanno scendendo in campo nuovi protagonisti confermando sempre più l’impressione che si tratti di un congresso del partito democratico.

Dove terrà il suo discorso? A Taranto?
Taranto potrebbe essere un buon luogo. Taranto è un pezzo dell’Italia e dell’Europa in cui possiamo capire se c’è possibilità di smontare un’ideologia, quella che mette in contrapposizione il lavoro all’ambiente. Perché lavoro e ambiente sono insieme minacciati dall’impresa e dal profitto, quando l’impresa non ha regole e il profitto diventa una religione totalitaria.

A proposito di lavoro. Non vi si vede più molto nei posti di lotta. Dove eravate quando gli operai bloccavano i traghetti, quando si picchettano le fabbriche?
Io faccio anche un altro lavoro. I venti giorni di ferie che mi sono concessi in Regione li ho trascorsi tra le prefetture e l’Ilva. Io faccio il governatore e vorrei farlo con serietà, soprattutto quando scoppiano delle questioni, come Taranto, che hanno rilevanza pugliese, nazionale ed europea. Stare accanto a tutte le vertenze è complicato.

Ma altri dirigenti di Sel?
Posso essere sincero? Per mandare un altro al posto mio, ad esempio dai minatori in Sardegna, devo di tasca mia pagargli il biglietto per sorvolare il mare, e poi il soggiorno. Noi siamo un partito spesso al centro del dibattito ma io faccio fatica a convocare una direzione nazionale perché non me lo concede la nostra condizione francescana. Non abbiamo denaro. Non ho gruppi parlamentari.

Quanto c’è sul conto di Sel?
Poco o niente. So solo che l’ultimo bilancio l’abbiamo chiuso con 14 mila euro di attivo.

Non regge, se serve i sardi ti ospitano.
Io non mi sono mai risparmiato. Quando stavo in parlamento mi sono fatto 21 notti a Melfi: la mattina stavo in parlamento e tutte le notti stavo ai falò davanti ai cancelli. Voi immaginate un partito come se fosse un partito, io ho in mente solo la fatica. Poi, certo, che ci sia l’atteggiamento diffuso di vivere come un ceto separato, lo so anch’io. La dico meglio: Sel è dentro le medesime contraddizioni che riguardano le forme partito.

Se vince Bersani, Sel confluirà in un unico listone?
Voi mi fate domande che vanificano l’appuntamento a fine mese.

E se Renzi diventa leader del Pd?
Non esiste il problema.

Un po’ poco come risposta…
Quando noi abbiamo accettato di fare le primarie a Palermo, siamo stati leali: chi perde appoggia chi vince. Ma non possiamo ripetere l’errore di Palermo che ha portato noi e il Pd ad un suicidio politico. Però è ovvio, che se io scelgo di partecipare alle primarie vuol dire che sono disponibile a sostenere anche Renzi, se vince. Infatti mi prendo fino a fine mese.

De Magistris invita lei e Di Pietro a confluire in una “lista arancione.
Per quello che mi riguarda i partiti sono degli strumenti: non sono dei fini. L’idea di un partito come corpo mistico per me è finita con il Pci. Bisogna laicamente decidere ciò che è più utile. Mi pare però un po’ curioso che alla fine il “partito dei sindaci” lo debbano fare i partiti, perché sono i movimenti extra partito che servono a stimolare e correggere proprio le sclerosi dei partiti. Ai partiti, che quei movimenti dovrebbero correggere, si può chiedere di rappresentare quelli stessi movimenti? Io credo di no, è un po’ troppo. Dobbiamo essere apertissimi ad un’alleanza in cui i protagonisti non siano solo i partiti ma i movimenti sociali, le donne, i precari e le amministrazioni. Ma è una cosa diversa.

E se la coalizione non ce la fa e si profila il Monti-bis? I deputati di Sel voteranno la fiducia?
Votano “No”. E non potrebbe essere altrimenti: io non avrei votato nessuno dei provvedimenti del governo Monti che considero iniqui e controproducenti: hanno precipitato l’Italia nella recessione, che non è solo figlia della crisi del 2008, della finanza taroccata. L’Italia in cui viviamo oggi è figlia delle ricette dei governi europei, delle scelte del club delle austerity.

Riassumiamo per immagini: si recupererà la foto di Vasto?
Non ricomincerei dalla foto di Vasto ma dalla foto di Pomigliano e Mirafiori, che sono le foto che propongono alla cultura politica del centrosinistra parole e atteggiamenti di discontinuità. Ci propongono di non considerare più il lavoro come una competenza esclusivamente sindacale ma come discrimine fondamentale anche nella lotta politica.

Competenza sindacale o di Marchionne?
«All’apparir del vero tu misero cadesti»: la favola di Marchionne si è disvelata per ciò che era.

In molti però ci avevano creduto.
Esiste un punto di autocritica che il centrosinistra deve affrontare relativamente alla gigantesca fascinazione per la presunta modernità del modello Marchionne.

Chi deve fare autocritica?
Mi sembra che siano in tanti a doversi interrogare. Cito Chiamparino che mi pare ora faccia il banchiere, e poi Fassino che da sindaco di Torino continua a minimizzare. Ma dovrebbe fare autocritica – e invece mi pare non abbia alcuna intenzione di farla – anche uno dei più coccolati candidati alle primarie, che usò nei confronti dell’icona Marchionne una perentorietà “senza se senza ma” che io ho visto esibire solo ai pacifisti davanti al binomio pace-guerra.

Luca Sappino

fonte: Pubblico

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