Il Ministro Fornero ha recentemente ammesso “qualche sua
responsabilità” nell’osservare il “ritardo nell’attenzione ai più
sofferenti e ai più deboli” e una volta tanto ci troviamo pienamente
d’accordo con lei. I governi dell’eurozona per fronteggiare la crisi dei
debiti sovrani hanno puntato su una politica austera di
“razionalizzazione” dei costi che oltre ad essere profondamente
recessiva fa leva sull’idea irrazionale che per fare cassa vada
letteralmente smantellato lo stato sociale. Così è accaduto anche dalle
nostre parti, dimostrazioni più che efficaci la riforma previdenziale e
la triste realtà degli esodati.
“Trovare le risorse non è stato facile, una parte è stata chiesta
direttamente ai lavoratori”. Un concetto di welfare piuttosto anomalo,
quello del Ministro del Welfare: togliere risorse a lavoratori e
pensionati e poi utilizzarle per lavoratori e pensionati. Ma solo
eventualmente, solo una volta raggiunto il tanto sospirato pareggio di
bilancio.
Trovarsi d’accordo col Ministro Fornero non è facile. Come
stupirsene, del resto? L’impressione è che a volte non vi riesca neanche
lei. A suo dire l’esecutivo vuole rendere il mercato del lavoro più
inclusivo e più dinamico e la riforma da lei proposta sarebbe
decisamente orientata verso una maggiore stabilità del rapporto
lavorativo.
Eppure le misure contenute nel Ddl Fornero non vanno di certo in tale
direzione. Il Ministro del Lavoro parla di stabilità e definisce miope
qualsivoglia impresa che cerchi di trarre vantaggio dalla precarietà.
Volendo riporre fiducia in tali dichiarazioni ci si aspetterebbe,
dunque, che il sedicente dinamismo del ddl sia tale da abolire concetti
aberranti quale ad esempio quello di “contratto a progetto”. Così non è.
L’unica grossa novità in merito – che peraltro proviene da un
emendamento al ddl – prevede che un lavoratore con contratto a progetto
venga retribuito. Addirittura.
Troppo poco. Che senso ha, dunque, parlare di riforma del mercato
lavoro quando il ddl contente le disposizioni in merito lascia
inalterate le 46 tipologie contrattuali tuttora presenti sul mercato
(anche le più abnormi, come accennato)? Che senso ha parlare di welfare
considerando che questa riforma non estende gli ammortizzatori sociali,
considerando che l’assicurazione per l’impiego lascerà fuori buona parte
dei lavoratori precari?
Il Ministro del Lavoro un giorno si e l’altro pure si affanna a
giustificare l’impopolarità della sua riforma spiegando ai cittadini
italiani che “farla nel momento peggiore della crisi non è semplice e lo
sappiamo”. Nell’Europa del rigore, invece, sembra che in parecchi
stiano cominciando a comprendere che la sola austerità è insufficiente a
scongiurare gli effetti più drastici della crisi. Per rilanciare
l’economia è necessaria la crescita, per perseguire la crescita è
necessario investire. Lo insegna la Storia, accadde nel secondo
dopoguerra.
Il Ministro, dunque, dovrebbe sforzarsi di considerare la riforma del
mercato del lavoro come una risorsa, non come un problema. Perché
passaggio obbligato per uscire dalla crisi è senza dubbio la riforma del
lavoro. Ma una riforma del lavoro reale, che realmente generi occupazione, che preveda l’estensione dei diritti ai precari e il reddito minimo garantito
La precarietà non serve, al nostro Paese. Ed è per questo che SEL sarà in piazza a sostegno del movimento de “La meglio gioventù”. L’appuntamento è per il 26 maggio, unitevi a noi!
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