lunedì 21 maggio 2012

Scusi, Fornero. Il lavoro? I diritti? Il reddito?


Il Ministro Fornero ha recentemente ammesso “qualche sua responsabilità” nell’osservare il “ritardo nell’attenzione ai più sofferenti e ai più deboli” e una volta tanto ci troviamo pienamente d’accordo con lei. I governi dell’eurozona per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani hanno puntato su una politica austera di “razionalizzazione” dei costi che oltre ad essere profondamente recessiva fa leva sull’idea irrazionale che per fare cassa vada letteralmente smantellato lo stato sociale. Così è accaduto anche dalle nostre parti, dimostrazioni più che efficaci la riforma previdenziale e la triste realtà degli esodati.
“Trovare le risorse non è stato facile, una parte è stata chiesta direttamente ai lavoratori”. Un concetto di welfare piuttosto anomalo, quello del Ministro del Welfare: togliere risorse a lavoratori e pensionati e poi utilizzarle per lavoratori e pensionati. Ma solo eventualmente, solo una volta raggiunto il tanto sospirato pareggio di bilancio.

Trovarsi d’accordo col Ministro Fornero non è facile. Come stupirsene, del resto? L’impressione è che a volte non vi riesca neanche lei. A suo dire l’esecutivo vuole rendere il mercato del lavoro più inclusivo e più dinamico e la riforma da lei proposta sarebbe decisamente orientata verso una maggiore stabilità del rapporto lavorativo.
Eppure le misure contenute nel Ddl Fornero non vanno di certo in tale direzione. Il Ministro del Lavoro parla di stabilità e definisce miope qualsivoglia impresa che cerchi di trarre vantaggio dalla precarietà. Volendo riporre fiducia in tali dichiarazioni ci si aspetterebbe, dunque, che il sedicente dinamismo del ddl sia tale da abolire concetti aberranti quale ad esempio quello di “contratto a progetto”. Così non è. L’unica grossa novità in merito – che peraltro proviene da un emendamento al ddl – prevede che un lavoratore con contratto a progetto venga retribuito. Addirittura.
Troppo poco. Che senso ha, dunque, parlare di riforma del mercato lavoro quando il ddl contente le disposizioni in merito lascia inalterate le 46 tipologie contrattuali tuttora presenti sul mercato (anche le più abnormi, come accennato)? Che senso ha parlare di welfare considerando che questa riforma non estende gli ammortizzatori sociali, considerando che l’assicurazione per l’impiego lascerà fuori buona parte dei lavoratori precari?
Il Ministro del Lavoro un giorno si e l’altro pure si affanna a giustificare l’impopolarità della sua riforma spiegando ai cittadini italiani che “farla nel momento peggiore della crisi non è semplice e lo sappiamo”. Nell’Europa del rigore, invece, sembra che in parecchi stiano cominciando a comprendere che la sola austerità è insufficiente a scongiurare gli effetti più drastici della crisi. Per rilanciare l’economia è necessaria la crescita, per perseguire la crescita è necessario investire. Lo insegna la Storia, accadde nel secondo dopoguerra.
Il Ministro, dunque, dovrebbe sforzarsi di considerare la riforma del mercato del lavoro come una risorsa, non come un problema. Perché passaggio obbligato per uscire dalla crisi è senza dubbio la riforma del lavoro. Ma una riforma del lavoro reale, che realmente generi occupazione, che preveda l’estensione dei diritti ai precari e il reddito minimo garantito
La precarietà non serve, al nostro Paese. Ed è per questo che SEL sarà in piazza a sostegno del movimento de “La meglio gioventù”. L’appuntamento è per il 26 maggio, unitevi a noi!

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