lunedì 30 aprile 2012

Niente è come sembra


Femminicidio. È una parola che utilizziamo da anni, che abbiamo scritto tante e tante volte per denunciare quello che accade in Italia e in altri Paesi, per informare e fare capire che quello che avviene intorno a noi non è un caso, non è il frutto di un raptus di follia, non è passione, non è gelosia, non è amore. Sembra non essere chiaro per nessuno: per la cosiddetta società civile, per i media, per la politica.
Proprio qualche settimana fa “Ragazze interrotte – Sel” ha lanciato in rete un manifesto che ha un’immagine di due mani giovani che s’intrecciano e lo slogan dice “Niente è come sembra. Non è amore ma assassinio”. Un modo chiaro per mettere in evidenza dove nasce la violenza e dove bisogna intervenire. Bisogna fare i conti con questo, con il nostro mondo non con quello che pensiamo appartenga sempre agli “altri“.
Noi, la cosiddetta società civile, quella che non si tira mai indietro se c’è da firmare un appello, da scendere in piazza, da inorridire davanti alla morte di una ragazza come Vanessa. Quella stessa società civile che poi però – con la stessa scioccante convinzione – si lascia andare a insulti violenti nei confronti delle donne che non conducono vite “appropriate”, che – secondo la barbara logica dominante – avrebbero una condotta che favorirebbe la violenza.

Insomma se a morire è una ragazza di vent’anni buona e amata da tutti si merita lo status di vittima, se è una prostituta ad essere uccisa forse un po’ meno.
È esattamente questo il meccanismo che alimenta la violenza. Sostenere l’idea che, se fossimo tutte sante, non correremmo dei rischi vuol dire dichiarare l’esistenza di una colpa che giustifica l’atto violento.
Lo sanno talmente bene gli uomini che questo è uno strumento potente che lo agiscono in maniera sistematica nel percorso violento, quel percorso che porta fino al gesto finale. È un crescendo di accuse, di trasmissione di senso di inadeguatezza, di un continuo ripetere che sei una puttana perché hai guardato, fatto, pensato a qualcun altro.
Un meccanismo – non lo smetteremo mai di ribadire – che può essere messo in atto da chiunque e che chiunque può subire. Proprio per questa ragione, la violenza va affrontata per quella che è: nella sua portata e nella sua complessità, senza cadere nei tranelli ignoranti, bigotti e giustificazionisti a cui questo Paese ci ha abituati. L’assassino di Vanessa l’ha capito bene come funziona l’Italia: è evidente nel momento in cui ci svela il motivo del suo “raptus”: in un momento intimo, non in un momento qualsiasi – ci spiega – Vanessa l’ha chiamato con il nome del suo ex. Se ci aggiungiamo un po’ di cocaina la spiegazione è bella e fatta.
Sono già 54 le vittime di quest’anno. E tutti sembrano stupirsi. Purtroppo, però, non è una novità. Meglio tardi che mai. Adesso però non dobbiamo fermarci: facciamo in modo che questo momento mediatico messo in campo dal “Se non ora quando” non si esaurisca nell’arco di pochi giorni. Ci sono nomi importanti (nomi come quello di Saviano che addirittura trasformano la notizia della denuncia al femminicidio in Saviano che firma l’appello contro il femminicidio!) che dovranno servire a tenere alta l’attenzione. Provando per una volta a tenere ferma l’attenzione sui temi veri di questo Paese.
A partire dall’informazione, che nei 18 anni di Berlusconi ha dato il peggio di sé. Che s’è concentrata in condanne di bunga bunga, di Ruby e ancora adesso della Minetti con gli stessi svilenti strumenti utilizzati dalla cultura berlusconiana. E tutto questo senza che sia mai stata prodotta un’inchiesta seria sul femminicidio in Italia. Ci sono state soltanto piccole cose a spot davanti all’ennesima vittima, ma solo se giovane, bella e quindi strappa lacrime.
E infine un appello alla politica tutta, dal centrodestra al centrosinistra, che ha firmato in massa l’appello del Snoq e che finora ha prodotto soltanto denunce ipocrite nella battaglia sul corpo delle donne. Alcuni esempi per tutti: la governatrice del Lazio Renata Polverini conosce lo stato in cui versano i centri antiviolenza nella sua Regione? Non costa nulla mettere una firma, molto più difficile è amministrare coerentemente davanti a ciò che si considera sbagliato e ingiusto. Vogliamo misurarci su questo?
Il segretario del Partito democratico Bersani anziché dichiarare di augurarsi di avere una figlia come la Fornero, chieda proprio alla ministra del Lavoro con delega alle pari opportunità di fare qualcosa di concreto per le donne. Perché siamo private dei più elementari diritti. E questo stato di crisi generalizzata fa regredire il Paese non solo economicamente ma culturalmente e socialmente.
Allora non piangete Vanessa e tutte le altre. Fate, fate voi che avete gli strumenti. La retorica e le dichiarazioni indignate su twitter non bastano più. Perché dietro le belle parole e le belle adesioni a volte si nasconde il vuoto. Se non si fa nulla di concreto non si chiama solidarietà ma complicità. Già, niente è come sembra.

Celeste Costantino

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