venerdì 4 gennaio 2013

Nel nostro governo il prof. non c’è

Pubblichiamo l’intervista di Daniela Preziosi a Nichi Vendola uscita ieri su Il Manifesto.

Presidente Vendola, per il professor Monti lei e Stefano Fassina siete conservatori. E lui invece è il riformista, anzi «riformista estremo». Le torna?
“Nelle parole di Monti c’è il riflesso condizionato di un codice genetico talmente aristocratico da considerare i diritti del mondo del lavoro come un orpello ottocentesco, un impedimento a godere dei benefici della modernità liberista. Difendere i ceti possidenti sarebbe invece l’innovazione”.

Sta dicendo che Monti ha un’idea di modernità indietrista?
“Spero che sia finita la stagione del conformismo del dibattito pubblico, tutto coccole e patriottismo montiano, e che si possa esprimere un giudizio sull’azione del governo Monti e sulle performance dei vari ministeri. È incredibile come il presidente del consiglio, nel giudizio apologetico che dà del proprio gabinetto, rifugga dal confronto con l’inasprimento della crisi sociale nel paese, eviti di evocare la caduta della produzione industriale, la crescita inarrestabile della disoccupazione e l’onda recessiva. Il primo dovere di un buon riformista è non mascherare la realtà vestendola con gli abiti dei propri convincimenti ideologici”.


Monti chiede una maggioranza per le riforme. È certo che non sia la stessa maggioranza di Bersani?
“Si è appena chiusa una stagione in cui la sinistra si è divisa nel giudizio sull’esperienza del governo. Noi, Sel, abbiamo scelto di non agire il nostro dissenso crescente verso il governo come un elemento di rottura con il Pd, che poteva essere fatale per una prospettiva di alternativa in Italia. Oggi quell’austerità, che noi consideriamo di destra, ha concluso il proprio ciclo. Il polo progressista va al voto per vincere e governare l’Italia per cambiare agenda, per mettere al centro quella questione sociale su cui con tanta solennità è intervenuto nel discorso di fine anno il capo dello stato”.

Allora perché Enrico Letta, vice di Bersani, dice che Berlusconi e Grillo sono vostri avversari e invece con Monti sarà una ’leale competizione’? Non è che, per fare un esempio, sarete costretti a chiedere a Giorgio Airaudo, della Fiom, cui avete chiesto di entrare in parlamento, di votare un governo con dentro Monti o i montiani?
“Confondere due livelli che non vanno confusi è ormai un giochino di società. Parlo del livello dell’impegno parlamentare a sostegno del programma di governo, che sarà – se vinciamo – un governo progressista, con il lavoro parlamentare per riformare l’architettura dello stato, per cambiare la legge elettorale, per condividere un ridisegno degli assetti istituzionali che sia in profonda sintonia con il dettato costituzionale. La Costituzione repubblicana è stata indicata come un orpello bolscevico dal leader della destra (Berlusconi, ndr) e viene considerata carta straccia da qualunque predicazione populista. Con le forze moderate e liberalconservatrici di impianto europeo è necessario discutere ed eventualmente anche convergere sulle regole e sulle riforme istituzionali. Certo non potrà essere Monti a dettare ancora regole in quel mercato del lavoro che è rimasto senza regole e senza lavoro. Sugli uomini e le donne che abbiamo in lista voglio aggiungere che sono un progetto politico”.

Secondo Casini Bersani non potrà essere premier se non avrà anche la maggioranza al senato.
È bellissimo che ci sia chi, mentre sponsorizza come premier uno che sicuramente non ha la maggioranza né alla camera né al senato, poi provi a fare esercizio di interdizione a chi ce l’ha. Le élite liberalconservatrici spesso si esercitano in lezioni di moderazione: ma poi appaiono improvvisamente insofferenti nei confronti delle procedure democratiche. C’è un fantasma che la politica italiana non riesce proprio a nominare: le primarie. Le primarie hanno prodotto un evento pesante, e cioè l’impedimento materiale alla realizzazione del vero disegno di Monti: allearsi con una sinistra che alza bandiera bianca e proclama come programma di governo la propria resa culturale.

Del resto per Monti la distinzione destra-sinistra oggi «ha molto meno senso» rispetto al passato.
“Può dirlo perché per lui la politica non ha senso. La politica per lui è divorata da un luogo cannibale, la «Tecnica», per metà scienza e per metà religione, una specie di ibrido che, godendo di un consenso del tutto minoritario nella società italiana, dovrebbe dettare le linee di sviluppo del futuro del paese. Lo ha deciso lui, per ragioni di classe, di frequentazioni sociali con persone rispettabili, che vengono prevalentemente dalle banche e dalle finanze, e cioè da un mondo che ha responsabilità nella crisi. E che si presentano come una sovranità metapolitica”.

A proposito di sinistra, le primarie del Pd hanno ’premiato’ la sinistra del partito. Penso alla forte affermazione a Roma di Stefano Fassina, altro ’conservatore secondo Monti, o di Matteo Orfini. Fanno concorrenza a Sel?
“C’è davvero troppa poca sinistra nella società italiana. È caduta la cultura della solidarietà, si è illividito il profilo della giustizia sociale, sono regrediti i diritti. Abbiamo bisogno di fare una semina lunga e larga. C’è bisogno di tanta gente, storie, testimonianze, militanti, volontari”.

Il Pd ha fatto sottoporre alle primarie quasi tutti i componenti della sua segreteria nazionale. Voi avete fatto la scelta opposta. Perché?
“Il Pd deve rinnovare la sua classe dirigente. Noi invece dobbiamo costituire. In un partito che nasce, il gruppo dei fondatori costituisce una garanzia del progetto politico, e anche la garanzia di poter esercitare un orientamento politico affinché i territori possano aprirsi culturalmente e non ridursi ad essere l’espressione dei notabilati locali”.

Il magistrato Ingroia, il candidato premier arancione, di nuovo chiede un dialogo con Grillo. Lei crede che sia possibile un dialogo con lui?
“Per tutti noi che ci candidiamo al ’parlamento’ il nome stesso di questo luogo indica una postazione per parlarsi. Parlare è importante soprattutto fra differenze, fra consanguinei il discorso può diventare noioso. Un modo di uscire dalle pratiche del fanatismo – nella storia della cultura comunista il riferimento è allo stalinismo – consiste nel fatto di non vivere con spirito belluinola differenziazione in un’area contigua. È sbagliato investire sulle differenze, sulle fratture del variegato mondo delle culture politiche della sinistra. Per quello che mi riguarda, questa trasizione è turbolenta, ci propone scenari davvero inediti. Ognuno è impegnato in una ricerca. Per me l’alternativa è una linea politica, ma anche una ricerca. Non abbiamo cieli di stelle fisse sulle nostre teste”.

Lei sente ostilità da parte arancione? Ingroia vi ha chiesto un incontro.
“Non sento ostilità e non la esercito. Dobbiamo discutere di cose: beni comuni, diritti negati. Vale la pena non confrontarsi per preclusioni preventive. Bene ha fatto Ingroia a chiedere di interloquire con Bersani, sta a Bersani decidere ed io non gli tirerò la giacca. Poi ciascuno giocherà la sua partita e farà la sua scommessa. Ma sarebbe una cosa nuova e importante se questa riarticolazione delle forze tradizionalmente appartenenti all’universo della sinistra – il grillismo in un’area non classificabile, gli arancioni all’estrema sinistra, Sel in una sinistra di confine fra radicalismo e riformismo, e infine in un’area di riformismo talvolta fin troppo temperato il Pd – servisse a una discussione sulla realtà del paese. E aiutasse tutti noi a trovare le risposte migliori. Anche da collocazioni differenti”.

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